//Do you want to..

•11 febbraio 2010 • 1 commento

1/2 

«Chris…» una voce svegliò il bassista, tutto assorto nei propri sogni contorti. Da un po’ di tempo difatti non faceva altro che incubi atroci; ogni volta che prendeva coscienza di sé, si svegliava con la sensazione di aver ingoiato un gomitolo di fil di ferro. 

Il fatto che però ultimamente non dormisse bene, non dava a nessuno una buona ragione per svegliarlo nel cuore della notte. 

Aprì confuso gli occhi, ma questo non bastò a dirgli chi fosse la magra figura davanti alla sua cuccetta; poi degli occhietti celestiali brillarono nel buio. «Cos-cosa c’è, Matt? È successo qualcosa…?» tartagliò; metà del cervello di Chris gli stava imponendo di tornare a dormire, mentre l’altra metà stava iniziando a preoccuparsi. Che fosse successo qualcosa a lei? 

«Vieni Pedro, ho qualcosa da mostrarti…» sogghignò Matt. 

«E non potevi aspettare domani, cavoli?!» strillò Chris; a quanto pareva, l’unico ad avere dei problemi era il suo frontman. Matt gli impose il silenzio e gli fece cenno di seguirlo fuori dalla stanza, dove stavano russando Dom, Tom e Morgan; Erin invece sospirava placida, nella cuccetta di Matt. Riluttante, Christopher si alzò e seguì Matthew nell’area cucina. Dopo aver sigillato la porta, Matt tirò fuori dalla tasca una scatolina quadrata, vellutata e blu. 

Di prostrò ai piedi di Chris e , aprendola, disse: «Mi vuoi sposare?». 

Dapprima sorpreso, Chris ridacchiò, affrettandosi a rifiutare la proposta «Grazie mille Matt, ma ho già il mio anello…» sorrise. Matt si alzò da terra «Oh, ma infatti non è per te questo, stavo solo facendo una prova…». 

Qualcosa nello stomaco di Chris prese a gorgogliare, mentre la sua testa veniva attraversata da un’idea scomoda e logorante come del filo spinato. Voleva chiederlo, se fosse o meno per lei, ma non ne aveva il coraggio. Se avesse aperto bocca, avrebbe detto altre cose, rivelato segreti che Matt non voleva sapere, anche se avrebbe dovuto. Come, ad esempio, che amava la futura proprietaria di quell’anello; forse però c’era una minima possibilità che l’anello venisse rifiutato, che lei davanti a quel prezioso si sentisse oppressa dalle troppe bugie e scoppiasse. Ma voleva davvero che lei patisse così tanto? 

«Secondo te le piacerà, Christopher?» chiese Matt con una vocina piccola e insicura «Voglio dire, l’ho trovato in una gioielleria vintage e l’ho fatto mettere a nuovo… sono mesi che me lo porto dietro, ma non riesco a trovare il coraggio di darglielo… cioè, di farle una proposta, ecco…». 

Chris non disse nulla; tanto sapeva che Matthew stava per lanciarsi in un monologo introspettivo. 

«è che in questi ultimi tempi l’ho trovata distante… come se qualcosa le bloccasse la mente. Capisco che non ha creato per molto tempo e questo è stato sia causa che conseguenza di questa sua strana indifferenza, però… però è come se mi fossi perso qualcosa. Come se sorridesse quando non ci sono io, come se senza di me si sentisse meglio» tartagliò Matt; Chris deglutì, sedendosi sul divanetto. Gli stavano sudando le mani. Aveva un nodo scorsone al pancreas. 

«Forse questa cosa del tour l’ha asfissiata… l’ho asfissiata. Forse siamo uno in assuefazione dell’altro e ci serve una pausa… però so che non riuscirei a starmene un giorno da solo, senza sapere che lei vuole stare al mio fianco. Perché è palese che ormai sia così, voglio dire, ci amiamo, io e lei…» Matt posò la scatoletta sul tavolino e prese a passeggiare in cerchio davanti a Chris. 

«Voglio dire, Erin, Erin non è una di quelle donne allergiche al matrimonio, per certi versi ha una mentalità classica… uhf» sbuffò; sapeva di affermare una falsità affermando la mente di Erin come un qualcosa di classico. D’altronde era per quello che stava pensando di sposarla: aveva una mente frizzante, aperta, nuova. 

Matt si fece taciturno, occhieggiando all’indirizzo di Chris. Voleva essere rassicurato; voleva che il suo amico gli dicesse che sarebbe andato tutto bene, perché compiere il grande passo era un gesto importante ma bellissimo. 

Chris sapeva che senza Erin, Matt sarebbe crollato; e non si trattava di trovarsi poi davanti a degli arrangiamenti e dei testi sulla stessa linea di Origin of Simmetry: si parlava della fine. Di cosa poi, non voleva proprio specificarlo: bastavano già quelle quattro lettere a fargli venire i vermi nello stomaco. 

«Matthew» si alzò; prese il coraggio per continuare il discorso «Io so perché Erin si sta comportando così ultimamente. E so che se non ti sta dicendo nulla, è perché ha solo paura delle conseguenze. Però non è colpa sua, davvero…» sospirò. 

«Le conseguenze di cosa, Christopher?» 

Non aveva sufficiente forza per guardare Matt dritto negli occhi e continuare; se solo avesse avuto del coraggio liquido a portata di mano… no, aveva solo addosso la maglia di Kill Beer, ma niente alcool che lo potesse aiutare a mettere da parte l’orgoglio e l’imbarazzo che lo frenavano. 

Fu l’immagine di Erin, sola e lontana da Matt, che piangeva con in mano il diamante a dargli un nuovo input. 

«Io, io l’ho baciata… l’ho baciata e ho anche provato a-» la mascella di Chris ebbe uno spostamento del tutto innaturale; finì dritta sul bracciolo del divano, seguita a ruota da tutto il corpo di Wolstenholme. E questo fu ancor meno piacevole. 

«Dimmi che stai scherzando. Che, anche se non è da te, stai solo cercando di prendermi un po’ per il culo». 

Chris si sentì in dover di obbiettare che sarebbe stato mille volte meglio prima chiedere una conferma sull’accaduto, e poi assestargli un pugno, ma restò muto. 

Matt sorpassò il tavolo. Chris vide nella propria testa Matthew che entrava, afferrava Erin per il polso e la portava lì, per giustiziare entrambi. 

«Matt! Cazzo Matt fermati, ti ho detto che lei non centra!» gli disse Chris, tirandosi su. Ma accadde proprio come aveva facilmente previsto: si trovò davanti Erin, preoccupata per il brusco comportamento del suo ragazzo e spaventata dall’aspetto della sua mascella. 

«Wolstenholme…» boccheggiò; non era una sciocca. Si accucciò sul divano, in preda al panico. 

  

2/2 

Aveva sentito, prima ancora della mano di Matthew che l’afferrava per le spalle, le loro voci. Soprattutto quella Chris; d’altronde parlava a voce alta così poco spesso da destare anche un ghiro dal letargo, ma erano state le parole che aveva pronunciato a svegliarla completamente. 

Furioso, Matt l’aveva fatta uscire dalla cuccetta e l’aveva condotta in cucina. «Vieni» era stata la sua unica parola; non la stava neanche trascinando: seppure colmo di rabbia, non le stava facendo male. Non dal punto di vista fisico, almeno. 

Nell’area cucina c’era Chris, in piedi al centro della stanza. Lo apostrofò per cognome, come se potesse dargli una spiegazione diversa al fatto che Matt fosse indemoniato e lui avesse la mascella purpurea. Si sentì crollare dentro e si accasciò sul divano, il volto nascosto fra le mani. 

Matthew iniziò a sputar fuori un discorso lunghissimo in un tempo troppo breve affinché Erin capisse ogni parola alla perfezione, ma il concetto era all’incirca questo: Chris l’aveva baciata e non solo. O meglio, quasi non solo. Secondo Matt, dalla sua faccia si capiva benissimo che era tutto vero. Non cercava una conferma, ma una spiegazione. 

Erin alzò lo sguardo sino a quello di Matt, azzurro come il mare, ma il mare in tempesta. 

«Matt, io… io…» deglutì. Non si aspettava che arrivasse così presto il momento dei chiarimenti. 

Quando finì di raccontare l’intera vicenda, partendo dall’incontro a casa loro e terminando con il bacio nel backstage, Erin si sentì la testa pesante e gli occhi secchi. Tra le tante cose, aveva dovuto ripetere varie parti del discorso anche tre o quattro volte; quando non era in uno stato sereno e lucido, difatti, tendeva a scordare le parole e la sintassi inglesi. 

«Quindi… è lui che per primo ha…» chiese Matt. Erin fece un cenno d’assenso con il capo. 

«Ma poi sei tu che hai tentato di farci del sesso?». 

Come? Come poteva spiegargli che lo aveva fatto per dissuaderlo, e non per averlo? Come poteva trovare le parole in inglese, se nella propria testa non riusciva ad esprimere il concetto neppure in Italiano? Sentiva sulla lingua l’espressione “psicologia inversa”, ma non sapeva quanto potesse essere salutare alla conversazione inserire una parola dello stesso campo semantico di “psicologa”. 

«Matthew, ti prego, ascoltami: lei non centra assolutamente niente, davvero! Non è colpa sua, sé…» Chris venne bloccato da Matt «Ha provato a baciarti, ok? E pure a scoparti! Non capisco come non posso centrare in tutto questo!». 

Erin stava per parlare, ma Chris proseguì con il suo tentativo «L’ho istigata, va bene? Le ho fatto della pressione io, io io e solo e unicamente io! Sappiamo tutti e due quanto sia fragile…» Erin ebbe un tremito. Non voleva che il suo passato le giustificasse ciò che aveva fatto. 

«Basta!» strillò «Non ti prenderai tutta la colpa Wolstenholme, non è così che si rimedia!». 

Nella cucina sbucò il viso stralunato di Dominic, ma Erin parve non farci caso. 

«Io volevo solo… potevi almeno lasciare che fossi io a dirglielo!» additò Christopher «Credi che forse mi sarebbe mancato il coraggio? Che magari alla fine avrei davvero cominciato ad amarti? Perché non hai lasciato che glielo dicessi io Chris, perché?». 

Cinque paia di occhi la fissarono, sorpresi. Matt le si avvicinò «Non è che potresti ripete?» le chiese. Erin lo guardò di rimando, esterrefatta; le era sembrato di essersi espressa in Inglese, ma non sembrava essere così. Si sentì stanchissima, come se avesse corso per tutta la notte su per una montagna. 

Concentrandosi, tartagliò che non era il momento adatto per parlarne; disse che aveva bisogno di tempo per riordinare la mente, per potersi far capire. Prese e si chiuse nell’area letto, sbattendo la porta alle proprie spalle. Tutti i letti erano sfatti, tutti i componenti in cucina, confusi e incazzati ognuno per i propri motivi. 

Sapeva di aver sonno e sapeva di non volerlo recuperare; d’altronde non aveva più voglia di star lì. Agguantò la propria valigia e ci buttò dentro alla meglio qualche cambio; si rivestì e stava quasi per uscire dalla stanza, quando le cadde l’occhio sulla maglia che Matt aveva abbandonato sul pavimento la sera prima. Raccogliendola, le parve un cimelio perduto, un fossile che aveva avuto vita millenni prima del suo tempo. 

La strinse tra le mani e l’annusò: immaginò il corpo che di solito quella stoffa ricopriva, asciutto e gracilino, ma affusolato e dolce. Era impregnata del sudore del concerto, un odore che a Erin ricordava momenti ben più intimi che un live davanti a migliaia di persone. Una volta e mille volte l’aveva strinta a sé, l’aveva baciata elegantemente, per poi spogliarla con fare quasi impacciato, ma le dita poi si facevano perdonare tutto. Correvano lungo la sua silhouette come sui tasti del pianoforte, con diversa pressione e stessa bravura. 

Un brivido la percorse: quelle dita ora erano appoggiate alla sua schiena, immobili ma pur sempre incantevoli. 

«Cosa fai» le chiese una voce; doveva trattarsi di un automa, non di Matthew. 

«Ho bisogno di un po’ di tempo…» sussurrò «Un po’ di tempo per trovare le parole, Matt» si mise di fronte  a lui, senza fissarlo negli occhi. Adesso la sua mente percorreva acque leggermente meno agitate e riusciva a parlare in una lingua che Matt poteva comprendere «Dopo quello che ho fatto non ho più trovato il coraggio di avvicinarmi a te e lo sai, questo…» pensò all’ultima volta che avevano fatto l’amore: mesi e mesi e mesi e mesi e mesi e mesi prima, forse. 

«Potevo fingere mentre ti parlavo o ti accarezzavo, ma non mentre avrei dovuto amarti, a letto. Non sono una brava bugiarda, lo sai…». 

«Mi sono dovuto ricredere» puntualizzò Matt, sfiorandole l’avambraccio «Pensavo che fosse perché non riuscivi più a scrivere. Ma a quanto pare, il problema ero io». 

«No!» si destò Erin, alzando il volto «No questo non è vero. Io… io…» pareva più difficile ammettere di essersi infatuata d Chris piuttosto che confessare di esserci quasi andata a letto; anche perché non aveva ammesso neppure a se stessa di provare un sentimento diverso dall’amicizia per Christopher. 

«Lui ha detto che ti ama» a quella parole, lo stomaco di Erin si fuse completamente «Ha anche detto che però tu non ne puoi niente. Sa che mi ami… il punto è che… non sono certo di saperlo, io. E forse neppure tu lo sai». 

Erin fece qualche passo indietro «Non è vero» gemette. Benché avesse parlato in Italiano, Matt aveva capito quelle tre parole. 

«Non so se riesco a crederti sino infondo». 

«Non so come convincerti che è così…» trovato il coraggio di fissare Matt negli occhi, ebbe un sussulto: erano vitrei e arrossati. Erin fece appello a tutto il suo senso logico e spiegò di come  aveva assecondato Chris, ma solo per respingerlo; che poi fosse rimasta nella sua stessa rete di menzogne, per quello non vi era alcuna giustificazione, in nessun dialetto del mondo. Erano sentimenti e si potevano esprimere solo a gesti. Gli spiegò però di come si era sentita dopo il bacio, dell’apertura mentale che aveva avuto e di come si sentiva orribilmente in colpa per quel gesto. 

«Pensi davvero di aver baciato Chris solo per poter scrivere? Lo pensi sul serio?» adesso Matt era appoggiato allo stipite della porta; Erin era seduta sul materasso. 

Soppesò quel pensiero: ci credeva davvero? La risposta le uscì immediata «Sì». 

«Penso di averlo fatto perché… ne avevo bisogno. Volevo solo uscire dall’oblio. Sono stata incivile, nei tuoi confronti come nei suoi» deglutì e poi ammise di aver tenuto i fogli per due giorni, prima di bruciarli. 

«Non era giusto che li tenessi…» concluse. 

Matt le si avvicinò, accucciandosi per portare i loro occhi alla stessa altezza «Quindi lui non conta niente per te?» le domandò. Erin contraccambio con uno sguardo smarrito «No». 

«Sai» le disse Matt «Avevo intenzione di darti un anello, sul palco di San Siro…» controllò l’ora «Stasera. Ma adesso…» 

«Neppure io me lo darei» gli confessò Erin. Curiosamente, Matthew rise di gusto. 

«Forse ci serve l’occasione giusta per ritrovarci…» ipotizzò; nella sua voce Erin trovò una certa dolcezza che la fece sentire ulteriormente colpevole. 

«Non ti merito… sai che non sopporterei di ricominciare…». 

«Ricominciare? Ma sei matta?» si stupì Matt «meglio riprendere la dove eravamo rimasti…» le bisbigliò, mostrandole il diamante. Erin gli si gettò al collo, in lacrime, e Matt l’avvolse con le sue mani affusolate e morbide. 

«Dimmi che stai scherzando…» lo pregò. 

«Neanche per sogno» le disse, stringendola, più forte. Erin si sciolse tra le braccia di Matt, consapevole che un simile perdono non l’avrebbe mai potuto recuperare, neppure scontando una pena lunga millenni. Eppure Matt era lì ad abbracciarla, nonostante tutto. 

  

//Forgetting you, but not the time

•23 gennaio 2010 • Lascia un commento

ONE SHOT ISPIRATA A WHATSERNAME, CANZONE N° 13 DI AMERICAN IDIOT, GREEN DAY. 

Erano solo le cinque quando JOS l’incontrò davanti al Seven Eleven. L’alba rendeva ogni cosa illuminata ma mal definita: la luce era poca e al ragazzo sembrava quasi di trovarsi in un sogno; solamente anni dopo capì quanto desiderasse che tutto ciò che accadde dopo il loro gioco di sguardi si fosse rivelato un sogno, un prodotto del suo subconscio più maligno e perfido.

“hey..” Salutò lei.

“hey..”

“.. Uhm.. Ti starai domandando perché ti ho chiesto di venire qui a quest’ora..” Tartaglio la ragazza, visibilmente imbarazzata. Lui si limitò ad annuire, silente.

“bè, ecco.. Vedi, ero ad una festa con.. Ah, non ha importanza con chi fossi..” Inizio a spiegare “.. Ero lì in mezzo alla festa e Steve ci ha provato.. Spudoratamente.. Mi ha portata di peso in uno sgabuzzino ed ha iniziato a pretendere che mi lasciassi toccare.. Voleva andare avanti..” Fece una pausa, al fine di poter calibrare le emozioni che si rincorrevano in quel momento sul volto del ragazzo: stupore, gelosia, rabbia.

“ma io sono riuscita a respingerlo.. Era ubriaco, ma nonostante lui mi desideri anche da sobrio, non mi sentivo affatto felice o lusingata.. Ero come vuota dentro, come se mi mancasse qualcosa.. E poi l’ho capito..non era lui che volevo, e non lo voglio neppure ora.. Io non vorrò mai nessun’altro uomo che non sia tu perché..” La frase le si spense in gola. I suoi occhi azzurri, che per attimi eterni li avevano fissati a lungo e da lontano, ora non volevano incontrare quelli di JOS; erano intimiditi e imbarazzati da ciò che avrebbero potuto dirgli, da ciò che il ragazzo poteva intuire.

Prima di incrociare quello sguardo maschile così prepotente, i suoi occhi vagarono ovunque: il desolato panorama che si stagliava oltre la strada, i cespugli secchi, i propri anfibi.

Poi, quando meno JOS se l’aspettava, lei l’inchiodò al muro dell’edificio con il solo sguardo.

“è che io ti amo.. E non so cosa diavolo fare..”

“direi che, per ora, la cosa più fottutamente sensata che potresti fare sarebbe.. Baciarmi..” Sospirò JOS, e in pochi attimi le mani della ragazza gli incorniciarono il viso e le loro fronti strusciarono.

“uhm.. Tu dici?”

“già.. Io dico..”.

Fu il bacio più bello che si fossero mai scambiati.

Desiderio e passione, dolcezza e rabbia, concretezza e consapevolezza, dolore e gioia, il tutto suggellato da un piacevole senso di vertigine. Lei accarezzava con trasporto il volto di quel ragazzo, mentre lui la stringeva a sé, definendone con le mani le copiose forme, nascoste sotto il vestito leggiadro.

Restarono così per ore, sino a che un raggio di sole si impose al mondo, donando al cielo un colorito roseo e saturando l’aria di freschezza. La luce rendeva ora quella collisione di due corpi più reale, benché inadatta a quel luogo.

“devo partire.. Io.. Devo..” Iniziò lei, con le lacrime agli occhi. Da lui venne solo un profondo silenzio pieno d’incertezze.

“.. Devo trasferirmi.. Studierò a Berkeley.. È, io.. Potrei non venire più qui, devo impegnarmi perché mio padre ha fatto molti sacrifici e..” Le parole le morirono sulle labbra, labbra rosse e preziose.

JOS la strinse ancora di più a sé, sprofondando il viso nei suoi lunghi capelli e annusandone il delicato profumo.

Era così dolce, così indifesa, così bella..

Non sprecarono più le parole.

Rimasero abbracciati per un periodo di tempo che parve loro infinito; eppure, quando lei prese ad allontanarsi, sembrava fosse trascorso solo un attimo. Un attimo doloroso e malinconico.

Lei mosse qualche passo, ma la mano di JOS l a trattenne “aspetta.. Fa freddo.. Prendi..” Disse e le porse il suo giubbotto di pelle.

Lei l’indossò e sorrise, pur con le lacrime agli occhi.

Non ti dimenticherò mai, piccola.. Magari il tuo nome si perderà nel vento, scorrendo via con i secondi.. Ma il tuo viso, quello rimarrà per sempre impresso nella mia mente.. E nel mio cuore.

// Belldom

•23 gennaio 2010 • 3 commenti

Attenzione: questa fanfic è atroce, priva di senso e stupida. È la mia prima Belldom e credo si noti.

A scatenarla, oltre che il matrimonio mio e della Marty, è stata questa frase: ho due sorelle, una di 6 anni e una di 16, a cena si mettono a litigare e a un certo punto quella di 16 urla “Babbo Natale non esiste!!” e l’altra “e neanche Edward Cullen!!!!”. Una delle due se ne va in lacrime, indovina quale?

  

L’albergo era silenzioso, quando i Muse tornarono nelle loro camere. Avevano trascorso il pomeriggio e gran parte della sera sullo yatch assieme a Lily Allen e a un gruppo interminabile di ragazze che doma aveva definito “alquanto invitanti”.

Chris non era neppure uscito sul punte, evitando di prendere ulteriore sole e preferendo un’interminabile telefonata su Skype con Kelly.

Lui, Matt, aveva preferito tentare di abbronzarsi con una lozione spray che «Fa miracoli Matt, davvero!» o almeno così aveva detto la Allen. Guardandosi ora allo specchio, Matthew incrociò tristemente una pancetta così pallida che l’uomo provò a sentirsi il polso, per assicurarsi di non essere un cadavere; sul particolare ciccia invece, non si soffermò: cosa ci sarebbe stato da constatare? Stava ingozzandosi, ecco cosa. Erano una banda di rammolliti, nelle linee generali. Forse solo Chris si salvava, visto che stava riacquistando una discreta forma fisica e di notte rimaneva sveglio ad orari improponibili per chiamare i suoi bambini.

Certo, anche lui e Dom facevano le ore piccole, ma per motivi meno giustificabili, anche se ultimamente lui stava rileggendo 1984, a notte fonda; Dom invece si tratteneva sempre qualche minuto in più di loro assieme alle ragazze che Lily gli presentava, e questo dava a Matt rilevanti problemi di ulcera.

Vedeva chiaramente come stavano andando le cose: Chris era come un pesciolino a cui mancava l’acqua di casa, Dom era il classico marpione e lui… lui era solo, a leggere di Stati e congiure e organizzazioni segrete. In quella sua rilettura stava appunto saltando ogni parte tenera e amorosa tra i protagonisti, per evitare di farsi del male.

Si appoggiò al muro, sconfortato: il Big Day Out lo stava allontanando dal suo batterista, dal suo amico, dal suo…

Si trovò nel corridoio, davanti alla porta della suite affianco; doveva trovarsi una buona ragione per entrare.

«Ehi Dom è permesso, io volevo…» smorzò la frase a metà; seduto su una poltrona, rivolto verso la finestra, alla luce della luna, stava Dominic. Aveva la testa china e sembrava molto concentrato su qualcosa sul proprio ventre.

Ma che ingrato! Preferisce fare da solo, purché non debba rivolgermi la parola!

«Ma che stai facendo?!» gli chiese, avvicinandosi rapidamente alla poltrona e posando una mano sul bracciolo; rapido, Dom rinvenne dallo stato di semi-coma in cui si trovava e si affrettò a rannicchiarsi dalla parte opposta della poltrona.

«Matt, ma che diavolo, potevi almeno bussare!» strillò Dom, spaventatissimo. Matt ignorò le sue proteste e protese l’occhio verso il basso ventre di Dom, solo per scoprire che l’uomo stava nascondendo… un libro?!

«Che roba è, fai vedere…» Dom non prestò orecchio alle richieste di Matt e si alzò, precipitandosi verso l’armadio e scagliandoci dentro il volume «Io non stavo leggendo proprio niente!» aggiunse, pieno d’indifferenza. Matt calcolò le probabilità che aveva di riuscire a prendere quel libro, visto che adesso era ufficialmente un falso-magro fuori forma.

«Avanti…» gli sibilò, avvicinandolo con passo suadente; Dom parve vacillare, ma rimase immobile davanti alle ante dell’armadio.

«Cos’è, adesso abbiamo anche i segreti?» fece Matt, appoggiandosi a lui. Una goccia di sudore scivolò lungo il collo di Dominic, dovuta al clima australiano o alla vicinanza delle loro carni, e Matt l’asciugò con un movimento di lingua da doversi ritenere illegale in almeno 34 Paesi. Qualcosa però era diverso, quella sera.

Cosa gli stava nascondendo Dom? forse se l’avesse davvero scoperto, avrebbe compiuto il passo che avrebbe fatto precipitare la loro relazione nel baratro dell’indifferenza. Forse in una di quelle ragazze Dominic aveva trovato una soddisfazione maggiore di lui, forse gli faceva ribrezzo la pancetta che aveva messo su, così pallida…

Matthew lo liberò dall’abbraccio, dirigendosi pensieroso verso il frigobar. Passando davanti ad uno specchio, si controllò il profilo: dopotutto, se rimaneva vestito, sembrava ancora il solito stecco di sempre, benché fosse uno stecco di trent’anni suonati.

«Matt, che hai stasera? Sei a metà tra il paranoico e il depresso…» gli confidò Dom; passato qualche attimo, il ragazzo ebbe la certezza che Matt non voleva più avvicinarsi all’armadio, così gli andò incontro. «Ohi, Bells… ma ci sei o cosa?». Con una rapidità atroce, Matthew scaraventò Dom sul letto e si gettò sull’armadio, pescando immediatamente il libro in mezzo a un marasma di abiti che, in altri tempi, avrebbe prima piacevolmente annusato. Dom piagnucolò, nascondendosi il volto tra le mani. Alla luce della luna, Matt pose sotto esame il libro, per scoprire che…

«Biografia di Edward Cullen?!» si voltò verso il batterista «Biografia di Edward Cullen!» ripeté, sconvolto.

«è questo che mi stavi nascondendo, che sei diventato un fan di un personaggio immaginario?!» gridò; aveva avuto senso concedere le canzoni alla Meyer per il film, benché poi le avessero storpiate; aveva senso essersi letti il libro, più per gratitudine che per altro, anche perché al dolce ego di Matt faceva piacere vedere il proprio nome tra i ringraziamenti; non aveva senso appassionarsi a un personaggio di fantasia e trascurarlo per leggersi la sua biografia.

«Ci sono pure le figure!» riprese; Dom lo guardò, seccato «Ebbè? Ho bisogno anche io di un po’ di svago, ogni tanto…» a tali parole Matt scagliò il libro contro il pavimento e si gettò su Dom «Ti serve un po’ di svago? Ti serve un po’ di svago?! È da quando siamo arrivati qui che non mi caghi minimamente, sempre pronto a correre dietro a quelle troiette che girano con Lily, o a fare altro, qualsiasi cosa, purché non mi riguardi! E mi vieni a dire che ti serve dello svago?!».

«Ecco, lo sapevo che avresti avuto da ridire… solo perché non faccio il mistico acculturato come te e non leggo libri che siano unicamente cospiratori, mi devi insultare!» esplose Dom, tentando di alzarsi.

«E così sarebbe questo, il problema? Secondo te aborro i vampiri?» ghignò Matt. Non doveva far finire quel momento; da troppo tempo era stato lontano dal suo batterista e se si fosse alzato così, insultandolo ulteriormente per quel libro, si sarebbero allontanati ancora di più.

Con una lentezza snervante, Matt si accanì nuovamente contro il collo di Dom, mordicchiandolo e succhiandolo avidamente; inizialmente Dom protestò, ma dopo qualche minuto i suoi muscoli si rilassarono e divennero sciolti, caldi. Mentre Matt faceva la sanguisuga, Dom spogliò entrambi e si accovacciò su Matthew, negli occhi un guizzò ammiccante. Per qualche istante Matt temette che il suo pallore lunare, unito alla cicca in eccesso, intimidissero Dom , ma l’uomo neppure ci fece caso: scivolò oltre l’ombelico, più in basso, baciando ogni centimetro epidermico che portasse il nome di Matthew James Bellamy.

Le paranoie di Matt si dissiparono, rapide, per poi scomparire del tutto quando percepì Dom dentro di sé; con una dolcezza frenetica, si stavano ricongiungendo; se in quel momento gliel’avessero chiesto, Matt avrebbe persino negato di aver avuto simili sospetti riguardo i pensieri di Dom. Nell’attimo massimo del loro gesto d’amore, Matt si dimenticò di tutto.

Dom gli si accasciò affianco, stremato «Il mio dolce paranoico…» gli sussurrò.

Matt sorrise, ancora incredulo per ciò che aveva pensato meno di due ore prima; come poteva dubitare di loro? Non sarebbe bastato un idromassaggio piccante a deviare il suo Dom.

«Dom, sto rileggendo un libro interessante, potrebbe piacerti…».

«Uhmpf… se proprio devi…».

«Te lo do domani, intesi?».

«Intesi…».

I can’t find the words to say…

•21 gennaio 2010 • Lascia un commento

Nel tour bus non tirava una bella aria. Matt si accaniva contro una vecchia pianola, insoddisfatto di come Mozart suonasse cacofonico attraverso quel giocattolo. Dom creava jam con gli ossi del pollo appena mangiato. Chris stava fumando vicino alla finestra ed Erin… Erin era seduta davanti al foglio, una sola pagina rimasta bianca e mille piene di scarabocchi, mezze parole e imprecazioni, tutti accartocciati e lanciati nel bus.

Quando ne riaprì una e, disgustata dal suo contenuto la gettò via, colpì il muso di Morgan, appena entrato nel bus.

«Ohi!» protestò l’uomo, in attesa di scuse.

Erin, assente, stava ripescando un altro foglio usato dalla pila degli scarti; non si sarebbe distratta neppure se degli operai avessero iniziato a smontare il bus attorno a lei.

Era in quella fase tanto temuta che solitamente è conosciuta come “Blocco dello scrittore”, ma che gli scrittori, in generale, chiamano incubo. La prima fase è una totale dissociazione da ciò che si scrive, o si è scritto; secondariamente vi è stupore per tutto quell’odio covato verso le proprie creazioni; al terzo posto arrivavano lievi le paranoie, del tipo “ma come mai non scrivo più così bene, avrò perso il mio dono, devo ritrovare la mia pace interiore, forse mi stanno arrivando le mie cose… (di solito riferito solo alle scrittrici)” ETC.

Dopo il quarto passo, ossia disperati tentativi di dimostrare a se stessi che si è ancora in grado di scrivere, mediante una produzione massiva e di basso livello, le paranoie diventano più forti; l’artista però le mette a zittire, negando al proprio ego di non essere momentaneamente in grado di saper mettere giù due sole righe che si possano definire decenti.

I periodi paiono lunghi, bisognerebbe tenersi a portata di mano una bombola d’ossigeno per leggere certe frasi… oppure gli enunciati risultano corti, così essenziali da non avere ne capo ne coda: solo un disgustosissimo pancreas intermedio, privo di significato.

Erin sapeva che sarebbe diventata pazza nel giro di poche ore, se non avesse buttato giù qualcosa, qualsiasi cosa che fosse degna di una sufficienza. Eppure sapeva anche di non poter andare altrove senza purtroppo continuare sentire il Confutatis che si miscelava amaramente ad una intro fatta con le costole di un pollo.

Era stata una pessima idea insistere così tanto per andare in Giappone; amava quella terra, la venerava per le sue tradizioni, per le anime, per i Pokemon e così era da quanto era stata una marmocchia che imitava le mosse dei cartoni animati. Però non sarebbe mai dovuta andare così oltre: essere la ragazza di Matthew Bellamy aveva i suoi svantaggi, lì nel paese del Sol Levante, soprattutto se ci si trovava in tour con la band.

In primis, il fatto di dover dividere il bus con altri cinque uomini nelle ore diurne, era insopportabile.

Aveva imparato a conoscere lati di Morgan dei quali avrebbe preferito continuare ad ignorare l’esistenza, come la sua ossessione per i locali notturni: “Ragazzi, avete trent’anni, non sessanta! Suvvia ragazzi, non siete mica monaci di clausura!”. In genere, dopo queste proclamazioni, Morgan riceveva l’occhiataccia più bieca e minacciosa che Erin aveva in repertorio, a ricordargli che non era molto gentile da parte sua mandare Matt a caccia; figuratevi poi la faccia che Matt doveva esporre (gli dispiaceva infatti di non potersi divertire con i suoi amici, benché avesse più volte rassicurato Erin riguardo le sue intenzioni di fidanzato modello).

Quanto poi erano in giro, ogni situazione diventata delirio puro: da ogni buco, tombino, o angolo di Osaka sbucavano fuori fan incalliti, disposti a tutto pur di avere una foto o un autografo del trio; fin qui niente di anomalo, sennonché le ragazze iniziavano a prendere Matthew a braccetto, spintonandola via. Matt le ripeteva di non essere gelosa, ma tutto ciò era troppo, per Erin. Nel backstage di un concerto, dopo un attacco a sorpresa da parte di una mandria di occhi a mandorla alquanto ammiccanti e da gatta morta, la security aveva prima allontanato e poi sbattuto fuori dal palazzetto anche Erin, rimasta coinvolta nella bolgia, nonostante lei avesse al collo un pass con soscritto in grassetto “Bellamy”; aveva dovuto chiamare Tom per farsi recuperare prima dell’inizio del concerto.

All’ultimo posto delle “tre peggiori cose che capitano se sei in tour con il tuo ragazzo” stavano loro, le groupies.

Maniacali, senza ritegno, talvolta impacciate, pedinavano Dom, Matt e Chris senza freno, riuscendo persino a bussare alla porta del tour bus. L’ultima ragazza che aveva spalancato la porta e si era tuffata su Bells, si era beccata le cinque incazzatissime dita di Erin sulla guancia.

Tutta questa serie di motivi dovuti al fatto di trovarsi in tour con i ragazzi, aveva provocato ad Erin un blocco.

«Vado a prendere un po’ d’aria» annunciò tutto d’un tratto, destando lo stupore generale.

«Tesoro, va tutto bene?» le chiese Matt. Erin annuì e agguantato il chiodo di pelle che aveva sin dai tempi del liceo, uscì.

Sapeva benissimo che un banale giro nell’area camper non sarebbe bastato a calmarla, quindi puntò direttamente all’uscita del parking, pensando a cosa fare.

Il tempo stava diventando nuvoloso, oppure il cielo era davvero malato come sembrava. Con la mente Erin riacchiappò i paesaggi che teneva scolpiti in memoria sin da quando aveva letto Seta per la prima volta: aveva davvero apprezzato quel libro, benché l’avesse sfogliato nell’adolescenza. Si disse che era stupida: già a tredici anni aveva capito di non sentire le emozioni come fanno tutti, di essere destinata a comprendere il mondo su una frequenza radio completamente differente da quella usata dal resto del mondo. Aveva scoperto di essere un’artista e lo aveva accettato solo sui vent’anni, quando aveva pubblicato il suo primo lavoro. Ora, da sola in un Paese che era totalmente diverso da come l’aveva immaginato, si sentì stupida; si era fatta un film sul Giappone senza neanche mettere in conto la possibilità che aveva perfezionato troppo la realtà con i propri pensieri, nonostante quella fosse la prima lezione che si era auto impartita fin da piccola. L’artista che immagina, sogna, che crea, in piccolo angolo di cervello deve sempre tenere presente che il mondo non è l’utopia immaginata.

Il mondo non è la mia utopia, eppure mi sono sempre illusa che…

«Erin!» le gridò Chris, raggiungendola di corsa.

La ragazza sbuffò; non sapeva che voleva, né erano più rimasti soli da quasi un anno; però, a miglia da casa, Erin aveva abbassato la guardia e Chris l’aveva raggiunta, penetrando la fortezza che la ragazza aveva creato.

« Wolstenhome, che ci fai qui?»

«Non sta bene che te ne vada tutta sola in giro per Osaka. Può essere pericoloso!»

«Non capisco perché sia venuto tu piuttosto che-» Chris l’interruppe «Matt si sentiva ispirato e si è fiondato sulla Manson».

Erin alzò gli occhi al cielo: almeno lui riusciva creare, dopotutto. Con addosso un lieve accenno d’invidia e la voglia di ritrovare l’ispirazione, Erin soppesò l’idea di esplorare la città con Christopher; cosa sarebbe potuto succedere di male?

«Bè, dove si va?» le domandò Chris, allegro e petulante come un bambino.

«Non so, non sono mai stata ad Osaka prima d’ora… potremmo cercare qualche negozio interessante, prendere un caffè» qualsiasi cosa, purché mi aiuti.

Chris le lanciò uno sguardo sornione, affermando di avere l’idea giusta. Con passo vivace, i due si avviarono verso la stazione della metro più vicina. Chris reggeva tra le labbra una sigaretta e Erin esaminò l’opportunità di provarne una, la prima della sua vita. Ma no, l’aveva promesso a se stessa che mai e poi mai avrebbe affumicato i propri polmoni in modo attivo. Però quella cartina sembrava dare a Chris tutto ciò di cui aveva bisogno: la calma, la serenità, il coraggio di guardarla negli occhi dopo quella sera…

«Christopher» lo chiamò mentre salivano su un diretto per il centro.

«Uhm?»fece lui, ormai senza più la sigaretta, ma solo con lieve olezzo fumogeno attorno.

«Grazie per essere qui» gli disse, sorridendogli. Si sentiva male per come lo aveva ripudiato e bistrattato nell’ultimo periodo, voleva vedere se una vaga amicizia fosse ancora recuperabile. Tra un accenno di barba sbucò un sorriso, la bocca di Chris contrita nella mezzaluna più sincera che Erin avesse mai osservato.

Arrivarono nel centro attivo di Osaka, ma scelsero l’area più pulsante e giovanile, piena di luci e colori anche in pieno giorno. Lì tradizioni antiche e le ultime tendenze si mescolavano con sapienza e tentavano chiunque passasse di lì.

Erin non resistette all’idea di farsi acconciare i capelli come una geisha; scelse una crocchia soffice e con un fiore tra le ciocche. L’acconciatrice chiese se il signore con lei volesse qualcosa ed Erin rispose di sì.

«Oh, avanti, non so se è il caso…»

«Dai Wolstenholme, hai avuto i capelli rosa! Potrai fartelo uno shampoo, no?».

Così Chris si accomodò in poltrona, non sapendo cosa lo attendeva alla fine di quella seduta.

Erin intanto gettò lo sguardo ai negozi oltre la vetrina: in mezzo a tutti quei simboli contorti, riuscì a distinguere un laboratorio di tatuaggi.

«Jesus Christ…» boccheggiò Chris, vedendosi allo specchio: i suoi capelli erano come la chioma di un porcospino, solamente molto, molto soffice. A Erin ricordò vagamente il taglio di capelli che avevano le statuine dei troll, quei piccoli esserini dai capelli sgargianti. Aspettò qualche minuto, il tempo che Chris pagasse l’acconciatrice e uscissero dal locale, prima di scoppiargli a ridere in faccia.

«Non hai un briciolo si autocontrollo, Erin!» la rimproverò Chris, falsamente irritato. E mentre rideva, Erin capì cos’era che le bloccava la vena artistica: in cuor suo aveva rinnegato tutto, ma la realtà era che Chris le era mancato. Non osava pensare perché, ma sapeva che era stato il loro allontanamento a creare la sua crisi artistica. Dopotutto si stava bene così, senza che lei tentasse di scoprire le cause che l’avevano indotta ad entrare in crisi d’astinenza da Chris; era pace, quel mondo era utopia.

Quando Dom chiamò Erin sul cellulare per ricordargli di tornare al bus, la ragazza era impaziente di riempire un’intera crisma di fogli con le proprie emozioni.

 

The key of my mind

•21 gennaio 2010 • 1 commento

«Uh,uh… ok tesoro, ti aspetto a cenare…» dall’altro capo della cornetta Matt suggerì che gli venisse lasciata della pasta nel microonde, che tanto per come la faceva lei era buona sempre. Erin gongolò per quel complimento, anche se poi al telefono fece la voce della fidanzata rattristata, visto che Matt doveva ancora rilasciare due interviste, assieme a Dom. «Davvero Amore, mi dispiace… tra l’altro dovremmo anche parlare con Tom, ma Chris deve star dietro ai bambini stasera e abbiamo l’acqua alla gola» Erin perdonò Matthew e lo rassicurò; gli disse di amarlo e buttò giù il telefono, lievemente amareggiata. Si era così impegnata quel giorno a fare le orecchiette alla pummarola… aveva persino chiamato sua madre per una conferma sulla ricetta. Ed ecco che quelli là dovevano ancora rispondere a stupide domande.

Mangiò con foga la propria porzione poi, mentre lavava le stoviglie, si tranquillizzò: non è in giro con delle groupies, è in una radio con Dom; certo, manca Chris che di solito li tiene a bada, quei due, ma non c’è di che preoccuparsi.

Mentre si rilassava, raccolse i capelli e andò a cercarsi dei vestiti comodi: pescò dal cassettone una maglietta bianca di Matt. Erin accese lo stereo e Mozart riempì l’ambiente con le sue note più dolci. In quel momento, mentre danzava ad occhi chiusi e scivolava sul parquet, Erin si sentiva in pace.

Un rumore brusco la riportò alla realtà: e si trovò Chris sull’ingresso che la guardava ammirato. Imbarazzatissima, corse a nascondersi dietro il divano e strillò: «Diamine, Wolstenholme! Come sei entrato!».

«Sto cercando Matt, dovrei parlare con loro, ecco…» disse «Matt ci ha detto dove tiene un suo doppione delle chiavi, per emergenze come questa» le spiegò Christopher, allegro.

Erin si sentiva più che in imbarazzo: con le mani si tirava la maglia verso i piedi, coprendo quanto più possibile le proprie gambe nude. Si aspettava che Chris dicesse qualcosa per dimostrare quanto fosse imbarazzato di averla trovata così, ma se ne stava in silenzio. «Io… vado a prendermi dei pantaloni…» tartagliò Erin, correndo in scivolata verso la camera da letto. Lì trovò i pantaloni di un pigiama: meglio che starsene in mutande.

«Ho appena chiamato Matt, lui e Dom sono bloccati con delle interviste e dopo volevano parlare con Tom Ki…» spiegò rapida a un Chris spaparanzato sul divano «…rk, avevano detto che era importante e… ma tu non dovresti badare ai tuoi figli?».

Chris si alzò dal divano e le si avvicinò di qualche passo «Sono nei guai, Erin» iniziò «Matt e Dom vogliono parlare a Tom di me…».

«Di te? Non capisco, cosa-»

«Dicono  che sono distratto, che il divorzio mi ha stroncato, e altre stronzate varie… e poi ho mentito, oggi i bambini sono con Kelly».

Erin non sapeva che fare con Chris: erano sempre stati molto amici loro due, ma proprio questa faccenda dell’essere distratto non se la beveva; meglio, sapeva che non era per il divorzio. Sapeva cosa doveva fare. Bruscamente gli indicò la porta «Perché non ripassi domani, quando Matt e Dom saranno qui, eh? Davvero, penso che un dialogo diretto sia la giusta soluzione ai tuoi problemi…».

Con dolcezza, Chris le afferrò le mani e se le portò sul cuore «Bugiarda…» le sibilò, prima di tirarla a se e toccarle la fronte con il naso. Erin rabbrividì: Chris le immobilizzava i polsi e adesso il suo viso scendeva, la sua bocca scendeva, i suoi occhi scendevano verso i suoi. In un attimo Chris aveva annullato i loro venti centimetri di differenza.

«Christopher, vai via…» intimò, con un tono di voce che non avrebbe convinto neppure un criceto.

«Erin» la chiamò lui, sfiorandole le labbra mentre pronunciava la R. Aveva gli occhi chiusi e sospirava, beandosi di quell’attimo neutro che in breve sarebbe finito, certamente. Perché in breve Erin si sarebbe ricordata sì del modo in cui si erano avvicinati, una sera al pub di Teignmouth, e della dolcezza che lui aveva nello sguardo e del palpito che il cuore di lei aveva compiuto rendendosi conto di lui; mai si sarebbe ricordata subito dopo di Matthew, con l’ossessione per la sua pasta, i suoi capelli e i suoi occhi, con lo spazio tra gli incisivi, con l’anello che le aveva regalato sul Big Eye di Londra, con il suo modo unico di amarla e venerarla come se fosse stata… la sua musa. Matthew l’aveva trovata dopo tanto cercare e questo Erin lo sapeva.

Ma sino a che la teneva ferma, l’attimo non si sarebbe spezzato: si sarebbe prorogato, moltiplicato, quintuplicato, avrebbe dato loro occasione ci avvicinarsi e fondersi.

«Ci sono almeno trenta buone ragioni perché tu te ne debba andare, e la prima è che io non voglio…» incominciò a sibilargli contro Erin.

«Tu non vuoi… cosa? Cosa non vuoi Erin? Non vuoi baciarmi?» e le loro labbra erano distanti un millimetro «Non vuoi prendermi per mano e portarmi nei bagni delle ragazze di un pub e dirmi di smetterla? Smetterla di fare cosa, poi?»

«Di fissarmi, Wolstenholme! Di puntarmi gli occhi addosso come, come se…» Chris si irrigidì e la interruppe «Come se fossi diventata Il mio chiodo fisso? Lo sfondo e il fine di ogni mio pensiero?».

Erin deglutì, pesantemente; non sapeva cosa fare. Non sapeva proprio che cazzo fare. Aprì e chiuse i palmi, ma le dita di Chris continuavano ad avvinghiarli, sul cuore del ragazzo. Come scalpitava quel cuore, come un puledro scappato dal recinto, o un pettirosso imprigionato tra le dita di un sadico bambino, come… come basta! Non doveva mettere in azione la vena artistica che scorreva tra le sue membra di scrittrice, doveva cacciarlo via!

«Non so cosa tu abbia capito, ma se il concetto non ti fosse arrivato, te lo ribadisco ora: io e Matthew ci amiamo e non vorrei nessun’altro al mio fianco che non fosse lui, nemmeno per un istante. Questo tuo interesse, non posso negarlo, mi lusinga, ma stai diventando molesto, Christopher» gli disse schietta, allontanando il viso da quello dell’uomo.

L’uomo la strinse ancor più a sé, le loro casse toraciche che si comprimevano l’una sull’altra, i respiri smorzati dall’emozione. «Sei una magnifica bugiarda Erin, te lo ripeto…».

E a quel punto Erin seppe cosa fare. Premette con forza le sue labbra impietrite contro quelle di Chris, lasciò la propria lingua libera di scorrazzare nella bocca del bassista; le sue mani furono libere e lei scattò, indietro.

«Avanti: spogliati» comandò, algida.

«Che?» le fece Chris, disorientato ancora dal bacio.

«Non è quello che vuoi, Wolstenholme?» enfatizzò mentre iniziava a spogliarsi «Perché non qui sul divano? Me lo hanno regalato i miei quando hanno saputo del fidanzamento». Christopher boccheggiò.

«O magari sull’isola della cucina, di là: sarebbe così selvaggio…» sospirò assente, levandosi i pantaloni e gli slip. Prese per mano il basito Chris e lo condusse nella cucina, dove sul lavabo sostava la porzione di orecchiette riservata a Matt.

«Sei ancora lì?» proferì distaccata, e con un gesto rapidissimo levò a Christopher giacca e maglia.

«Vuoi sentirti dire che sei virile? Sai Chris, in fondo è vero, sei così maschio…» boccheggiò, sentendosi vuota dentro.

«Smettila Erin» tartagliò Chris, mentre lei scendeva verso il suo pube.

«No caro, non vuoi?» e si tirò su, con lo sguardo tagliente «Allora andiamo subito al momento clou della serata…» si sfilò la maglietta, rimanendo nuda nella penombra; la luce in salotto aumentava le ombre e creava mille riflessi su di lei. Ma Chris era paralizzato, tutto era così sbagliato.

«Prendimi Chris, sono…» Eri deglutì: non riusciva a dire che era sua, non poteva mentire a tal punto «…sono qui…» gemette, sdraiandosi sul marmo della cucina. Aveva il volto di una sfinge e Chris si sentì morire dentro.

«Sto aspettando la tua furia, Christopher» ribadì Erin, carezzandosi il corpo, meccanica.

Christopher le fissava gli occhi, raggelato da quella pantomima.

Erin si sedette sul bordo dell’isola e lo tirò a sé, acchiappandolo per la cintura. Gli prese una mano e la guidò ai suoi seni, con gli occhi tristi. Chris bloccò la mano a mezz’aria, tremante: come poteva continuare?

«Uhm… ti ho capito, sai? Tu preferisci così!» e si avvinghiò al petto di Chris, scese dal bancone se gli diede le spalle, le mani che già si avvinghiavano al marmo.

«Cosa c’è, Christopher, hai paura anche di prendermi così, senza guardarmi in faccia?!» la voce di Erin si incrinò nel pianto. Forse se avesse agito diversamente, prima, avrebbe potuto risolvere la cosa in modo civile; adesso si sentiva a pezzi e rabbiosa e sapeva che adesso Chris avrebbe ceduto. Difatti le mani di lui si addolcirono sui fianchi di lei e i pantaloni bianchi di Chris contro le sue cosce morbide. Ed Erin strinse la presa sul bancone, aspettando un contatto che non arrivò.

Christopher la voltò, le carezzò impaurito le spalle e il collo; aveva le dita tremanti ed Erin ne rimase colpita. «Sai benissimo che non voglio questo» le sussurrò, dolce e spaventato «Lo sai che vorrei poterti vedere ogni ora del giorno e della notte. Vorrei poter guardare nei tuoi occhi e leggerci dentro che mi ami più della tua stessa vita e poi vederti sorridere, perché sapresti che anche io morirei per te. Vorrei tornare a casa dallo studio o dopo un lungo tour e avere le tue braccia ad accogliermi, coccolarmi e confortarmi. Vorrei che i tuoi sorrisi fossero dedicati a me. Vorrei averti incontrata prima, Erin, vorrei che tu mi avessi visto anni fa e avessi plasmato quel ragazzino che ero, per renderlo adatto ad una vita da passare al tuo fianco. Vorrei che tu dessi nuovi fratellini ad Ava e che vivessimo felici, nel nostro piccolo alveolo familiare. Vorrei dirti che ti amo, senza che tu inorridisca. E vorrei anche fare l’amore con te, ovunque, sempre, così intensamente da morirne…».

«Sono parole bellissime, Chris…» pigolò Erin «… ma qualcuno le ha già pronunciate prima di te».

Chris le raccolse la maglietta dal pavimento e la coprì «Sono, sono stato un pazzo a venire qui… e mi dispiace di averti turbata in questo modo. Mi dispiace tantissimo…» le baciò la fronte e uscì. 

Erin scoppiò a piangere.