The key of my mind

«Uh,uh… ok tesoro, ti aspetto a cenare…» dall’altro capo della cornetta Matt suggerì che gli venisse lasciata della pasta nel microonde, che tanto per come la faceva lei era buona sempre. Erin gongolò per quel complimento, anche se poi al telefono fece la voce della fidanzata rattristata, visto che Matt doveva ancora rilasciare due interviste, assieme a Dom. «Davvero Amore, mi dispiace… tra l’altro dovremmo anche parlare con Tom, ma Chris deve star dietro ai bambini stasera e abbiamo l’acqua alla gola» Erin perdonò Matthew e lo rassicurò; gli disse di amarlo e buttò giù il telefono, lievemente amareggiata. Si era così impegnata quel giorno a fare le orecchiette alla pummarola… aveva persino chiamato sua madre per una conferma sulla ricetta. Ed ecco che quelli là dovevano ancora rispondere a stupide domande.

Mangiò con foga la propria porzione poi, mentre lavava le stoviglie, si tranquillizzò: non è in giro con delle groupies, è in una radio con Dom; certo, manca Chris che di solito li tiene a bada, quei due, ma non c’è di che preoccuparsi.

Mentre si rilassava, raccolse i capelli e andò a cercarsi dei vestiti comodi: pescò dal cassettone una maglietta bianca di Matt. Erin accese lo stereo e Mozart riempì l’ambiente con le sue note più dolci. In quel momento, mentre danzava ad occhi chiusi e scivolava sul parquet, Erin si sentiva in pace.

Un rumore brusco la riportò alla realtà: e si trovò Chris sull’ingresso che la guardava ammirato. Imbarazzatissima, corse a nascondersi dietro il divano e strillò: «Diamine, Wolstenholme! Come sei entrato!».

«Sto cercando Matt, dovrei parlare con loro, ecco…» disse «Matt ci ha detto dove tiene un suo doppione delle chiavi, per emergenze come questa» le spiegò Christopher, allegro.

Erin si sentiva più che in imbarazzo: con le mani si tirava la maglia verso i piedi, coprendo quanto più possibile le proprie gambe nude. Si aspettava che Chris dicesse qualcosa per dimostrare quanto fosse imbarazzato di averla trovata così, ma se ne stava in silenzio. «Io… vado a prendermi dei pantaloni…» tartagliò Erin, correndo in scivolata verso la camera da letto. Lì trovò i pantaloni di un pigiama: meglio che starsene in mutande.

«Ho appena chiamato Matt, lui e Dom sono bloccati con delle interviste e dopo volevano parlare con Tom Ki…» spiegò rapida a un Chris spaparanzato sul divano «…rk, avevano detto che era importante e… ma tu non dovresti badare ai tuoi figli?».

Chris si alzò dal divano e le si avvicinò di qualche passo «Sono nei guai, Erin» iniziò «Matt e Dom vogliono parlare a Tom di me…».

«Di te? Non capisco, cosa-»

«Dicono  che sono distratto, che il divorzio mi ha stroncato, e altre stronzate varie… e poi ho mentito, oggi i bambini sono con Kelly».

Erin non sapeva che fare con Chris: erano sempre stati molto amici loro due, ma proprio questa faccenda dell’essere distratto non se la beveva; meglio, sapeva che non era per il divorzio. Sapeva cosa doveva fare. Bruscamente gli indicò la porta «Perché non ripassi domani, quando Matt e Dom saranno qui, eh? Davvero, penso che un dialogo diretto sia la giusta soluzione ai tuoi problemi…».

Con dolcezza, Chris le afferrò le mani e se le portò sul cuore «Bugiarda…» le sibilò, prima di tirarla a se e toccarle la fronte con il naso. Erin rabbrividì: Chris le immobilizzava i polsi e adesso il suo viso scendeva, la sua bocca scendeva, i suoi occhi scendevano verso i suoi. In un attimo Chris aveva annullato i loro venti centimetri di differenza.

«Christopher, vai via…» intimò, con un tono di voce che non avrebbe convinto neppure un criceto.

«Erin» la chiamò lui, sfiorandole le labbra mentre pronunciava la R. Aveva gli occhi chiusi e sospirava, beandosi di quell’attimo neutro che in breve sarebbe finito, certamente. Perché in breve Erin si sarebbe ricordata sì del modo in cui si erano avvicinati, una sera al pub di Teignmouth, e della dolcezza che lui aveva nello sguardo e del palpito che il cuore di lei aveva compiuto rendendosi conto di lui; mai si sarebbe ricordata subito dopo di Matthew, con l’ossessione per la sua pasta, i suoi capelli e i suoi occhi, con lo spazio tra gli incisivi, con l’anello che le aveva regalato sul Big Eye di Londra, con il suo modo unico di amarla e venerarla come se fosse stata… la sua musa. Matthew l’aveva trovata dopo tanto cercare e questo Erin lo sapeva.

Ma sino a che la teneva ferma, l’attimo non si sarebbe spezzato: si sarebbe prorogato, moltiplicato, quintuplicato, avrebbe dato loro occasione ci avvicinarsi e fondersi.

«Ci sono almeno trenta buone ragioni perché tu te ne debba andare, e la prima è che io non voglio…» incominciò a sibilargli contro Erin.

«Tu non vuoi… cosa? Cosa non vuoi Erin? Non vuoi baciarmi?» e le loro labbra erano distanti un millimetro «Non vuoi prendermi per mano e portarmi nei bagni delle ragazze di un pub e dirmi di smetterla? Smetterla di fare cosa, poi?»

«Di fissarmi, Wolstenholme! Di puntarmi gli occhi addosso come, come se…» Chris si irrigidì e la interruppe «Come se fossi diventata Il mio chiodo fisso? Lo sfondo e il fine di ogni mio pensiero?».

Erin deglutì, pesantemente; non sapeva cosa fare. Non sapeva proprio che cazzo fare. Aprì e chiuse i palmi, ma le dita di Chris continuavano ad avvinghiarli, sul cuore del ragazzo. Come scalpitava quel cuore, come un puledro scappato dal recinto, o un pettirosso imprigionato tra le dita di un sadico bambino, come… come basta! Non doveva mettere in azione la vena artistica che scorreva tra le sue membra di scrittrice, doveva cacciarlo via!

«Non so cosa tu abbia capito, ma se il concetto non ti fosse arrivato, te lo ribadisco ora: io e Matthew ci amiamo e non vorrei nessun’altro al mio fianco che non fosse lui, nemmeno per un istante. Questo tuo interesse, non posso negarlo, mi lusinga, ma stai diventando molesto, Christopher» gli disse schietta, allontanando il viso da quello dell’uomo.

L’uomo la strinse ancor più a sé, le loro casse toraciche che si comprimevano l’una sull’altra, i respiri smorzati dall’emozione. «Sei una magnifica bugiarda Erin, te lo ripeto…».

E a quel punto Erin seppe cosa fare. Premette con forza le sue labbra impietrite contro quelle di Chris, lasciò la propria lingua libera di scorrazzare nella bocca del bassista; le sue mani furono libere e lei scattò, indietro.

«Avanti: spogliati» comandò, algida.

«Che?» le fece Chris, disorientato ancora dal bacio.

«Non è quello che vuoi, Wolstenholme?» enfatizzò mentre iniziava a spogliarsi «Perché non qui sul divano? Me lo hanno regalato i miei quando hanno saputo del fidanzamento». Christopher boccheggiò.

«O magari sull’isola della cucina, di là: sarebbe così selvaggio…» sospirò assente, levandosi i pantaloni e gli slip. Prese per mano il basito Chris e lo condusse nella cucina, dove sul lavabo sostava la porzione di orecchiette riservata a Matt.

«Sei ancora lì?» proferì distaccata, e con un gesto rapidissimo levò a Christopher giacca e maglia.

«Vuoi sentirti dire che sei virile? Sai Chris, in fondo è vero, sei così maschio…» boccheggiò, sentendosi vuota dentro.

«Smettila Erin» tartagliò Chris, mentre lei scendeva verso il suo pube.

«No caro, non vuoi?» e si tirò su, con lo sguardo tagliente «Allora andiamo subito al momento clou della serata…» si sfilò la maglietta, rimanendo nuda nella penombra; la luce in salotto aumentava le ombre e creava mille riflessi su di lei. Ma Chris era paralizzato, tutto era così sbagliato.

«Prendimi Chris, sono…» Eri deglutì: non riusciva a dire che era sua, non poteva mentire a tal punto «…sono qui…» gemette, sdraiandosi sul marmo della cucina. Aveva il volto di una sfinge e Chris si sentì morire dentro.

«Sto aspettando la tua furia, Christopher» ribadì Erin, carezzandosi il corpo, meccanica.

Christopher le fissava gli occhi, raggelato da quella pantomima.

Erin si sedette sul bordo dell’isola e lo tirò a sé, acchiappandolo per la cintura. Gli prese una mano e la guidò ai suoi seni, con gli occhi tristi. Chris bloccò la mano a mezz’aria, tremante: come poteva continuare?

«Uhm… ti ho capito, sai? Tu preferisci così!» e si avvinghiò al petto di Chris, scese dal bancone se gli diede le spalle, le mani che già si avvinghiavano al marmo.

«Cosa c’è, Christopher, hai paura anche di prendermi così, senza guardarmi in faccia?!» la voce di Erin si incrinò nel pianto. Forse se avesse agito diversamente, prima, avrebbe potuto risolvere la cosa in modo civile; adesso si sentiva a pezzi e rabbiosa e sapeva che adesso Chris avrebbe ceduto. Difatti le mani di lui si addolcirono sui fianchi di lei e i pantaloni bianchi di Chris contro le sue cosce morbide. Ed Erin strinse la presa sul bancone, aspettando un contatto che non arrivò.

Christopher la voltò, le carezzò impaurito le spalle e il collo; aveva le dita tremanti ed Erin ne rimase colpita. «Sai benissimo che non voglio questo» le sussurrò, dolce e spaventato «Lo sai che vorrei poterti vedere ogni ora del giorno e della notte. Vorrei poter guardare nei tuoi occhi e leggerci dentro che mi ami più della tua stessa vita e poi vederti sorridere, perché sapresti che anche io morirei per te. Vorrei tornare a casa dallo studio o dopo un lungo tour e avere le tue braccia ad accogliermi, coccolarmi e confortarmi. Vorrei che i tuoi sorrisi fossero dedicati a me. Vorrei averti incontrata prima, Erin, vorrei che tu mi avessi visto anni fa e avessi plasmato quel ragazzino che ero, per renderlo adatto ad una vita da passare al tuo fianco. Vorrei che tu dessi nuovi fratellini ad Ava e che vivessimo felici, nel nostro piccolo alveolo familiare. Vorrei dirti che ti amo, senza che tu inorridisca. E vorrei anche fare l’amore con te, ovunque, sempre, così intensamente da morirne…».

«Sono parole bellissime, Chris…» pigolò Erin «… ma qualcuno le ha già pronunciate prima di te».

Chris le raccolse la maglietta dal pavimento e la coprì «Sono, sono stato un pazzo a venire qui… e mi dispiace di averti turbata in questo modo. Mi dispiace tantissimo…» le baciò la fronte e uscì. 

Erin scoppiò a piangere. 

~ di plugineve su 21 gennaio 2010.

Una Risposta to “The key of my mind”

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